Spreco alimentare: come va l’Italia rispetto al resto d’Europa?

Secondo un’indagine dell’Osservatorio sulle eccedenze, recuperi e sprechi alimentari del CREA, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Sustainability, in Italia lo spreco alimentare medio è a pari a 370 g alla settimana per famiglia. Lo studio, realizzato su oltre 1.100 famiglie italiane, ha inoltre mostrato che il 77% delle famiglie ha buttato via del cibo nella settimana precedente all’indagine (1).

Quella del CREA è, ad oggi, la prima indagine realizzata in Italia che misura lo spreco alimentare a livello familiare su un campione nazionale rappresentativo e risponde alla necessità di avviare il monitoraggio dello spreco alimentare domestico, al fine di dimezzarlo entro il 2030, come previsto dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU (1). Nelle regioni ad alto reddito, lo spreco alimentare a livello domestico sembra essere la fonte principale di spreco alimentare, rappresentando anche il 42% del totale generato lungo la filiera alimentare in Europa (2).

Lo studio è stato realizzato in Italia nel 2018 su un campione rappresentativo di 1142 famiglie mediante una metodologia che permettesse il confronto con i risultati di altri Paesi europei, ovvero il Questionario HFW (Household FoodWaste). Agli intervistati, che erano stati precedentemente avvisati di prestare attenzione al cibo sprecato durante un certo periodo di tempo in modo da aumentare la precisione della valutazione, è stato quindi chiesto di riportare la quantità e tipologia di cibo sprecato nella settimana precedente e il suo “status”, ovvero cibo completamente inutilizzato, cibo parzialmente utilizzato, avanzi di pasto o avanzi dopo la conservazione (1).

Dall’analisi è risultato che più del 75% delle famiglie ha buttato via del cibo durante la settimana prima dell’intervista e che la quantità media di cibo sprecato è stata di 370 g a settimana. Frutta fresca, pane, verdure fresche e bevande analcoliche (latte compreso) sono le categorie di alimenti che finiscono maggiormente tra i rifiuti. Inoltre, la gran parte dello spreco alimentare è costituita da alimenti non utilizzati affatto e chiusi (43,2%), seguiti da alimenti parzialmente consumati (30,3%), come, ad esempio, un pezzo di pane, una mezza mela o una confezione aperta di latte, dagli avanzi del piatto (14,6%) e infine dagli avanzi conservati (11,9%) (1).

Considerando anche gli aspetti sociodemografici, pare che maggiore è la dimensione della famiglia, maggiore è lo spreco alimentare. Tuttavia, se si considera lo spreco medio pro capite, i nuclei familiari rappresentati da una sola persona sprecano un quantitativo di cibo maggiore rispetto alle famiglie con cinque o più membri (303 g/ settimana vs 105 g/settimana) (1).

Confrontando il risultato italiano con quello di altri Paesi europei, è emerso che la quantità di cibo sprecato in Italia (370 g) è allineata con quella olandese (365 g/settimana) e molto inferiore a quella spagnola (534 g/settimana), tedesca (534 g/settimana) e ungherese (464 g/settimana). Relativamente alla tipologia di spreco, invece, gli alimenti più deperibili sono in cima alla classifica dei rifiuti del gruppo alimentare in tutti i paesi dell’UE; sembra quindi essere la natura deperibile dei prodotti ad aumentare il rischio di spreco (1).

Infine, il fatto che in Italia la maggior parte dei prodotti buttati era totalmente inutilizzata o solo parzialmente utilizzata significa che è più frequente trovare confezioni di cibo non aperte o aperte nel frigorifero o nella dispensa piuttosto che avanzi di cibo buttati. Studiare questo particolare “pattern di spreco”, più comune in Italia che nel resto d’Europa, può essere utile per progettare strategie di prevenzione e interventi educativi diversificati e, ad esempio, sensibilizzare all’acquisto di meno cibo per evitare sprechi, o fornire specifiche informazioni sulla conservazione degli alimenti (1).

 

Fonti: 

  1. Scalvedi, M.L., Rossi, L (2021). Comprehensive Measurement of Italian Domestic Food Waste in a European Framework. Sustainability, 13, 1492.
  2. UN 2015. 2030 Agenda for Sustainable Development.
  3. World Resource Institute. Food Loss and Waste: Setting a Global Action Agenda. World Resource Institute: Washington, DC, USA, 2019.

Con Sprim il Patient Support Program diventa 100% digital nell’era post-Covid

Fra i trend attuali trainati dalla pandemia da Covid-19, uno più di tutti può essere definito come “breakthrough”: parliamo della digital transformation, che giorno dopo giorno sta guidando in modo sempre più decisivo l’evoluzione dell’Healthcare e della Pharma industry. In particolare, le condizioni dettate dalla pandemia – tra distanziamento sociale e crescita dei need assistenziali – ha aumentato la consapevolezza rispetto alla necessità di Programmi di Supporto ai Pazienti (PSP) che siano al passo con i tempi: da qui l’evoluzione di modelli di Digital Patient Support, preziosi strumenti per i pazienti e asset strategici per le aziende.

Non è un caso che nel 2020 siano stati investiti, come mostrato da un recente report, oltre 18 miliardi di euro a livello globale in salute digitale – circa il doppio rispetto al 2019. Molti di questi fondi sono stati destinati proprio alle attività di supporto ai pazienti, che oggi stanno vivendo un vero e proprio cambio di paradigma: da nice-to-have per i professionisti della salute a parte integrante della Remote Care – sempre più destinata a caratterizzare l’industria della salute nell’epoca post-Covid.

La richiesta di servizi di Patient Support digitale oggi arriva a gran voce sia dagli HCP, propensi a prescrivere medicinali specialmente se associati ad attività di supporto ad hoc, sia dai pazienti, ormai confident nell’utilizzo delle nuove tecnologie e a proprio agio con i servizi a distanza. I pazienti con cronicità, in particolare, hanno vissuto grandi difficoltà nel corso della pandemia, in un momento in cui il focus e le risorse si sono spostate sulla gestione dell’emergenza. È qui che i Digital Patient Support Program possono fare la differenza, con un approccio olistico, 100% digital, che aumenti l’aderenza ai percorsi assistenziali, migliori la qualità di vita dei pazienti e alleggerisca il carico delle strutture sanitarie, favorendo in modo agile anche la continuità assistenziale sul territorio.

In che modo le aziende possono ricorrere ai PSP per rispondere alle esigenze attuali? Che si tratti di servizi di carattere medico, informativo, motivazionale, esperienziale o di supporto organizzativo, l’uso esclusivo di strumenti digitali sta diventando la “way to go”. Per esempio, sempre più diffusi sono PSP che prevedono l’utilizzo di mobile-health app per consentire al paziente o al caregiver di ricevere informazioni video-audio sulla terapia, di inserire i propri dati per la gestione del percorso terapeutico e di interagire con il proprio medico di riferimento.

Consapevole del ruolo crescente dei PSP nel contesto sanitario attuale, SPRIM, società specializzata nel mondo della salute e della nutrizione, oggi mette a disposizione soluzioni privacy first, 100% digital per supportare centri clinici, HCP e pazienti grazie al Telecenter Hub di Connext, il primo Experience Centre italiano multiservizio attivo per la health industry.

Servizi di help-desk per il medico e per il paziente, digital tools responsivi con funzione di therapy reminder, piattaforme di telemedicina privacy-first per agevolare la relazione medico-paziente, mobile app per un monitoraggio “beyond the pill”, healthbot per il patient counselling: queste e altre sono le attività che Sprim e Connext offrono per mettere a punto programmi di supporto ai pazienti che siano all’altezza dei need attuali e di un settore in rapida evoluzione.

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Planet-Score: dalla Francia un’altra etichetta sull’impatto ambientale degli alimenti

Dalla Francia, così come il recente Eco-Score, arriva il Planet-Score, una nuova proposta di sistema di etichettatura volontaria che considera l’impatto ambientale dei prodotti alimentari considerando anche l’impatto dell’uso di pesticidi e delle pratiche agricole su biodiversità e benessere animale. Questa etichetta è stata proposta dall’Institute of Organic Agriculture and Food (ITAB) e dai suoi partner (SAYARI e VGF).

Questi score sono nati su iniziativa del Governo francese che, nel mese di settembre 2020, ha lanciato un invito a presentare progetti in linea con la legge sulla lotta contro lo spreco alimentare e l’economia circolare; 18 mesi per selezionare un progetto sperimentale in grado di offrire, entro fine 2021, un’etichetta ambientale per i prodotti alimentari basata sull’approccio LCA. Il database di riferimento scelto è stato Agribalyse di ADEME, un database LCI o Life Cycle Inventory, contenente oltre 2500 prodotti agricoli e alimentari consumati e/o prodotti in Francia.

Oltre a considerare gli impatti che vengono generalmente calcolati nelle analisi ambientali, questa etichetta mostra informazioni anche per quel che riguarda impatti spesso sottovalutati e “nascosti” come le ripercussioni date dall’utilizzo dei pesticidi e le complicazioni a livello di clima, biodiversità e benessere animale. In aggiunta, il Planet-Score mira ad evidenziare ciò che differenzia i prodotti tra loro non solo tra categorie di prodotto (come un frutto o della carne), ma anche all’interno della stessa categoria (mele di differenti cultivar, prodotte in regimi differenti).

Le informazioni ai consumatori sono fornite visivamente attraverso quattro indicatori preceduti da un punteggio aggregato. Il primo indicatore si riferisce all’utilizzo dei pesticidi, e in particolare agli effetti che possono avere sulla salute umana. A seguire il clima, parametro che ingloba considerazioni circa lo stoccaggio di carbonio nei suoli, le pratiche agricole che partecipano in questo processo e le emissioni di Gas ad effetto serra (GHG). Il terzo indicatore valuta l’impatto che determinate pratiche agricole possono avere a livello di biodiversità e nel mantenimento del Paesaggio. Infine, viene fatto riferimento al benessere animale, poiché a determinato sistema di allevamento corrispondono determinate ripercussioni sull’ambiente.

 

 

Nella pubblicazione del Planet-Score, infine, ITAB e partner chiedono un confronto con la comunità per discutere l’effettiva applicabilità di questo nuovo sistema: “La nostra proposta è un primo passo e, al fine di farla evolvere, siamo aperti allo scambio e alla discussione con tutta la comunità scientifica, sia francese che internazionale, così da esprimere nel modo più esaustivo possibile la molteplicità di questioni ambientali necessarie per affrontare una transizione alimentare sostenibile.”

 

Fonti: 


Connext: il primo Experience Center italiano della salute

Come testimoniano i risultati di una survey presentata alla Healthcare Call Center Conference 2018, i contact center nel mondo healthcare sono sempre più percepiti come elementi di differenziazione competitiva per le aziende: 3 intervistati su 4 segnalano come la quantità di servizi gestiti da questi centri stia aumentando esponenzialmente, sia per le attività inbound che outbound, attraverso un approccio omnicanale che fa uso di call, email, social network, video e numerose altre vie di contatto per l’interazione col cliente.

In un’epoca in cui il cliente ha una sempre più vasta possibilità di scelta e agile accesso alle informazioni per selezionare gli strumenti del proprio business – prodotti, servizi, fornitori, canali – risulta più che mai vantaggioso il supporto di un contact center che si distingua per le skill relazionali, funzionali all’esperienza del cliente e al raggiungimento dei traguardi predisposti. Stiamo parlando di un modello che sia realmente al passo con i tempi: un contact center 100% digital e al contempo 100% human-centric, ben strutturato e allo stesso tempo personalizzato e adattivo rispetto alle esigenze e agli interlocutori.

In che modo, oggi, il contact center può evolversi da centro di supporto a fulcro relazionale? Agendo da touchpoint integrato per pazienti, medici, farmacisti e aziende, il contact center della health industry ha la possibilità di andare oltre al proprio ruolo di centro simbolico e funzionale della customer care e diventare un vero e proprio asset della strategia aziendale. Questo implica la possibilità di sviluppare servizi e progetti a 360°, dal remote detailing al teleselling all’arruolamento ai trial clinici, contando sulla collaborazione di team multidisciplinari focalizzati su un’impeccabile customer experience.

Proprio mettendo l’“experience” del cliente al centro dei suoi servizi SPRIM, società specializzata nel mondo della salute e dell’alimentazione, oggi coglie le nuove sfide e opportunità del settore rinnovando la struttura e la direzione del proprio contact center, Connext, il primo Experience Center italiano multiservizio attivo per la health industry.

In un contesto competitivo e in rapida evoluzione come quello attuale, SPRIM fa tesoro della propria expertise decennale nel settore strutturando Connext in molteplici Health Experience Hub strategici e distintivi, ognuno dei quali è predisposto per rispondere ai need aziendali attraverso attività dedicate. Tra queste, Connext progetta per i propri clienti: digital campaign di boost-to-buy e remind per il target Hcp (medico e farmacista), campagne omnicanale di professional personal marketing curate da team di Teleadvisors e Remote Reps, servizi di health customer care e help desk tecnico-sanitario gestiti da team specializzati, people involvement/concierge service per l’adesione e il supporto alla partecipazione ai trial in Real World Evidence, oltre a un’innovativa soluzione di telemedicina Privacy First sviluppata insieme ai medici. Ogni servizio offerto dall’Experience Center è pensato per avvicinare i target strategici all’azienda e l’azienda ai propri obiettivi.

Cerchi nuovi modi per ampliare il tuo parco clienti? Raggiungere i tuoi target in modo più efficace? Offrire un customer service specializzato nel dialogo con gli Hcp?

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Vertice ONU sui Sistemi Alimentari

Giovedì 23 settembre 2021 è in programma il Vertice delle Nazioni Unite sui Sistemi Alimentari, aperto a tutti grazie al programma virtuale e alla piattaforma. 

Di cosa si tratta?

«Un’opportunità storica per incoraggiare tutti a utilizzare la forza dei sistemi alimentari per guidare la ripresa dalla pandemia del COVID-19 e riprendere il cammino per raggiungere tutti i 17 gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile entro il 2030. 

Negli ultimi 18 mesi il Vertice ha riunito gli Stati membri delle Nazioni Unite e le rispettive società civili, in tutto il mondo, compresi migliaia di giovani, produttori alimentari, popoli indigeni, ricercatori, settore privato e agenzie del sistema ONU, per apportare cambiamenti tangibili e positivi ai sistemi alimentari mondiali. Trattandosi di un vertice incentrato su persone e soluzioni, è stato riconosciuto che chiunque, ovunque, debba agire e collaborare per trasformare il modo in cui il mondo produce, consuma e concepisce il  cibo. 

Il Vertice concluderà questo processo globale inclusivo offrendo un momento catalizzatore per la mobilitazione pubblica e gli impegni perseguibili dai capi di stato e governo e altri leader per far progredire l’agenda. 

Si tratterà di un evento completamente virtuale durante la settimana di alto livello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, attraverso il quale l’ONU riaffermerà il proprio impegno a promuovere i diritti umani per tutti e garantire l’opportunità di partecipare a chiunque e ovunque. 

Unisciti a noi insieme a leader, esperti e tutte le parti interessate di tutto il mondo. Insieme possiamo e dobbiamo far leva sul potere dei sistemi alimentari per raggiungere tutti gli obiettivi condivisi per gli individui, il pianeta e la prosperità.»

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Fonte:


Microgreens: saranno un superfood del futuro?

Conosciuti anche come micro-ortaggi, i microgreens sono una varietà di verdura nota al grande pubblico solo negli ultimi anni e destinata ad essere sempre più conosciuta. Le loro caratteristiche nutrizionali, l’utilizzo di un metodo di coltivazione no-soil e la velocità di crescita, rendono microgreens dei candidati ideali a diventare un superfood del futuro.

Ma cosa sono esattamente?
Il termine microgreens viene generalmente utilizzato per riferirsi ai cotiledoni edibili del vegetale di interesse, ovvero alle piccole foglie nello stadio di crescita embrionale, che possono assumere diverse colorazioni in base alla varietà selezionata. Commercialmente possono essere definiti dei piccoli germogli di insalata raccolti per il consumo entro 10-20 giorni dalla comparsa delle piantine (1). A differenza dei tradizionali germogli però, richiedono un po’ di tempo in più per crescere, assicurando di contro una resa superiore e un’estetica gradevole. Proprio questa loro caratteristica ne ha determinato la scoperta: i micro-ortaggi cominciarono inizialmente ad apparire nei menù degli chef di San Francisco, in California, nei primi anni ‘80, e in seguito furono coltivati nel Sud della California da metà degli anni ‘90 per rendere le preparazioni sempre più scenografiche.

Recentemente i microgreens hanno assunto altri significati e ruoli, affermandosi come colture potenzialmente salvifiche rispetto alle previsioni di insostenibilità dell’agricoltura industriale odierna. Grazie al breve ciclo di crescita, è possibile produrre micro-ortaggi in idroponica (sistema di coltivazione con immersione dell’apparato radicale direttamente in acqua e sostanze nutritive) ed acquaponica (sistema di allevamento/coltivazione simbiotico, circolare e chiuso), senza pesticidi e fertilizzanti e in spazi chiusi come le proprie case. La possibilità di autoprodurre i micro-ortaggi, magari utilizzando i semi di varietà locali ad alta densità di nutrienti e utilizzando anche spazi piccolissimi, non solo può contribuire ad aumentare la disponibilità e l’accessibilità al cibo delle fasce più povere della popolazione mondiale, ma può contribuire anche a migliorare la qualità dell’alimentazione, aumentando disponibilità e varietà di alimenti freschi nonché ricchi di nutrienti essenziali per la salute umana. Peraltro, i micro-ortaggi sono generalmente consumati crudi ed interi e questo consente di limitare gli scarti, le perdite e la degradazione dei fitonutrienti che spesso si verificano nella fase di preparazione in cucina, soprattutto in cottura (2).

Caratteristiche nutrizionali e virtù
microgreens possono essere considerati un superalimento in quanto presentano un contenuto di sostanze fitochimiche (come vitamina C, carotenoidi e flavonoidi) superiore rispetto agli stadi di maturazione più avanzati (3). A riprova di queste caratteristiche, diversi sono gli studi che suggeriscono un possibile ruolo dei microgreens come alimenti funzionali, in grado di concorrere alla prevenzione dell’obesità, delle malattie cardiovascolari, del diabete mellito di tipo 2 e del cancro (4). Tra i più rilevanti, uno studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) e dell’Università del Maryland, dimostra come, analizzando il contenuto di vitamine (vitamina C,E,K) e carotenoidi (β-carotene, luteina e zeaxantina) di venticinque specie di micro-ortaggi, questi presentino un contenuto di composti antiossidanti notevolmente superiore rispetto agli ortaggi convenzionali (4). Confrontando infatti i valori nutrizionali riportati per le specie allo stadio di maturazione commerciale tradizionale con quelli dei rispettivi microgreens, i risultati non sembrano lasciare dubbi: ad esempio, i microbroccoli si mostrano come fonte di calcio (126 mg/100 g (5) vs 72 mg/100 g del broccolo maturo (6)), i micropiselli come fonte di potassio con un contenuto oltre il doppio rispetto ai piselli maturi (436 mg/100 g (4) contro 193 mg/100 g (6)), infine il microamaranto presenta più del triplo della vitamina C rispetto all’amaranto classico (131,6 mg/100 g (4) vs 43,3 mg/100 g (7)).

In meno tempo e con meno risorse, sembra quindi possibile produrre alimenti nutrizionalmente validi in grado di contribuire al soddisfacimento del crescente bisogno di prodotti alimentari sani e sicuri per una popolazione sempre più in rapida crescita.

I microgreens saranno il cibo del futuro?

 

Fonti:

  1. Xiao, Z., Lester, G. E., Luo, Y., Xie, Z. K., Yu, L. L., & Wang, Q. (2014). Effect of light exposure on sensorial quality, concentrations of bioactive compounds and antioxidant capacity of radish microgreens during low temperature storage. Food chemistry151, 472-479.
  2. Di Gioia, F., Mininni, C., & Santamaria, P. How to grow microgreens Cómo cultivar micro-hortalizas. 1. Micro-ortaggi, agro-biodiversità e sicurezza alimentare, 51.
  3. Choe, U., Yu, L. L., & Wang, T. T. (2018). The science behind microgreens as an exciting new food for the 21st century. Journal of agricultural and food chemistry66(44), 11519-11530.
  4. Xiao, Z., Rausch, S. R., Luo, Y., Sun, J., Yu, L., Wang, Q., … & Stommel, J. R. (2019). Microgreens of Brassicaceae: Genetic diversity of phytochemical concentrations and antioxidant capacity. LWT101, 731-737.
  5. Renna, M., Stellacci, A. M., Corbo, F., & Santamaria, P. (2020). The use of a nutrient quality score is effective to assess the overall nutritional value of three brassica microgreens. Foods9(9), 1226.
  6. CREA. Tabelle di composizione degli alimenti, Aggiornamento 2019- Website a cura di L. Marletta e E. Camilli
  7. U.S. Department Of Agriculture (USDA). FoodData Central: Amaranth leaves, raw.

Tutto sulla Nordic Diet: la dieta che arriva dal Nord Europa

La dieta nordica aiuterebbe a perdere peso più facilmente: è quanto emerso da un recente studio che ha analizzato l’effetto della dieta nordica sul peso, la circonferenza addominale e la percentuale di grasso corporeo in 774 partecipanti, paragonandoli a gruppi di controllo. Sembrerebbe, infatti, che un’alimentazione basata sui principi della Nordic diet possa dare risultati più rapidi nel miglioramento dell’indice di massa corporea, rispetto ad altri modelli alimentari, anche se gli effetti sulla composizione corporea necessitano di ulteriori approfondimenti (1).

Di cosa si tratta?

La dieta nordica è un regime alimentare basato sul consumo di prodotti locali tipici dei Paesi del Nord Europa: Norvegia, Danimarca, Svezia, Finlandia e Islanda.

I principi della Nordic Diet (2) sono legati alla valorizzazione degli ingredienti della tradizione locale e sostenibili, con uno sguardo attento alla salute. Infatti, le linee guida suggeriscono l’assunzione di più calorie da alimenti vegetali e meno da fonti animali, prediligendo legumi, patate e cereali integrali. Inoltre, i grassi derivano principalmente da frutta secca, semi e olio di canola; sono privilegiate le fonti proteiche da pesci di lago e mare, e, parallelamente, è consigliato un consumo moderato di carne rossa. Alla base della dieta ci sono alimenti autoctoni e selvatici: frutti di bosco, funghi ed erbe selvatiche sono, infatti, inseriti nell’alimentazione giornaliera. È infine sconsigliato il consumo di alimenti processati, carni trasformate e prodotti confezionati, ricchi di zuccheri aggiunti e conservanti.

Infine, in generale, la dieta nordica è basata sul consumo di ingredienti biologici e la cui produzione sia considerata a basso impatto ambientale.

Differenze con la Dieta Mediterranea

La dieta nordica si avvicina a quella mediterranea per il forte legame con i prodotti del territorio, ma è per questo motivo che si riscontrano anche ovvie differenze nei due regimi alimentari. La principale fonte di grassi nella dieta mediterranea è, infatti, l’olio extravergine d’oliva, che nei Paesi nordici non si trova a livello locale ed è normalmente sostituito da olio di canola, frutta secca e semi. Allo stesso modo tra i due modelli ci sono numerose differenze su tutti i prodotti agricoli in generale, molto differenziati nelle diverse aree climatiche.

Relativamente ai vantaggi sulla salute, lo studio EPIC-Potsdam (3) ha evidenziato che la Nordic Diet mostrerebbe un possibile effetto benefico sulla salute cardiovascolare, ma statisticamente poco rilevante rispetto a quello della dieta mediterranea. Infatti, l’analisi condotta su 27.548 soggetti seguiti per più di 10 anni, ha dimostrato che la dieta nordica non apporterebbe benefici significativi nella prevenzione di infarto miocardico e ictus, mentre il modello alimentare mediterraneo sembrerebbe associato ad un minor rischio di sviluppo del diabete di tipo 2 e, quindi, ad una prevenzione delle cardiopatie ischemiche (3).

New Nordic Diet

Negli ultimi anni si sta parlando molto della dieta nordica e l’attenzione verso questo tipo di alimentazione è cresciuta significativamente. Ciò è probabilmente correlato all’introduzione del concetto di nuova dieta nordica (New Nordic Diet) da parte di un gruppo di nutrizionisti dell’Università di Copenhagen in collaborazione con gli chef del famoso ristorante danese NOMA (due stelle Michelin), con l’obiettivo di rivoluzionare la cucina dei Paesi nordici, rendere allevamento e agricoltura più sostenibili, controllare il tasso di obesità e migliorare la salute pubblica. La new nordic diet si pone come uno stile di vita che richiama ritmi lenti, cibo stagionale e tutela dell’ambiente.

La nuova dieta nordica è stata diffusa anche attraverso il progetto OPUS (4), uno studio condotto su 834 ragazzi in età scolare (8-11 anni) con l‘obiettivo di analizzare l’effetto dell’introduzione nella dieta di pasti studiati secondo i principi del modello nordico. L’analisi ha mostrato una miglior distribuzione di nutrienti e micronutrienti nei pasti elaborati a partire dal modello alimentare della New Nordic Diet, rispetto ai pasti abitualmente consumati dai partecipanti.

 

Fonti: 

  1. Ramezani-Jolfaie, N., Mohammadi, M., & Salehi-Abargouei, A. (2019). Effects of a healthy Nordic diet on weight loss in adults: a systematic review and meta-analysis of randomized controlled clinical trials. Eating and Weight Disorders-Studies on Anorexia, Bulimia and Obesity, 1-10.
  2. Mithril, C., Dragsted, L. O., Meyer, C., Blauert, E., Holt, M. K., & Astrup, A. (2012). Guidelines for the new Nordic diet. Public health nutrition, 15(10), 1941-1947.
  3. Galbete, C., Kröger, J., Jannasch, F., Iqbal, K., Schwingshackl, L., Schwedhelm, C., … & Schulze, M. B. (2018). Nordic diet, Mediterranean diet, and the risk of chronic diseases: the EPIC-Potsdam study. BMC medicine, 16(1), 1-13.
  4. Andersen, R., Biltoft-Jensen, A., Andersen, E. W., Ege, M., Christensen, T., Ygil, K. H., … & Tetens, I. (2015). Effects of school meals based on the New Nordic Diet on intake of signature foods: a randomised controlled trial. The OPUS School Meal Study. British Journal of Nutrition, 114(5), 772-779.

Boom telemedicina: nuovi strumenti e orizzonti per la digital health con Connext Telemedicina

Quella che fino pochi anni fa appariva come un’opportunità promettente e in lenta crescita, è diventata il fenomeno trasformativo della “nuova” sanità: la pandemia da Covid-19 ha dato enorme accelerazione all’utilizzo della telemedicina, dando vita allo sviluppo e all’adozione di soluzioni digitali in grado di abbattere le distanze tra medici e pazienti e garantire allo stesso tempo la massima sicurezza. Oggi questa evoluzione sta portando le aziende sanitarie a rimodulare l’erogazione ai servizi, con l’obiettivo di assicurare la cura e l’assistenza attraverso strumenti digitali accessibili e di facile utilizzo – non solo per i soggetti colpiti dal Covid-19 - ma per tutti i pazienti, in particolare quelli più fragili o cronici.

Non si tratta di timidi tentativi o semplici iniziative di sensibilizzazione, ma di un cambiamento reale che si sta attuando all’interno del Sistema Sanitario Nazionale: risale a dicembre 2020 l’approvazione, da parte della Conferenza Stato-Regioni, del documento del Ministero della Salute che definisce le regole per l’erogazione delle prestazioni di telemedicina. È stato un grande passo: oggi la telemedicina è finalmente un’attività ufficialmente riconosciuta, tariffata e rendicontata, alla pari dei servizi sanitari erogati sinora.

In particolare, il documento definisce in dettaglio ognuna delle modalità di prestazione (televisita, teleconsulto, teleconsulenza, teleassistenza) e stabilisce, per esempio, come le prestazioni in televisita possano essere erogate a pazienti già inseriti in un percorso di cura nel caso in cui non sia necessario l’esame obiettivo. In ogni caso, spetta sempre al medico decidere come utilizzare gli strumenti di telemedicina in favore del paziente, con l’opportunità di avvalersene anche per le attività di monitoraggio e di rilevazione dei parametri clinici.

Non è difficile riconoscere i vantaggi introdotti dalle prestazioni sanitarie “a distanza”, più che mai nel contesto attuale. Ma cosa ne pensano medici e pazienti? Una ricerca dell'Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano ha messo in luce come la classe medica sia consapevole delle potenzialità e favorevole all’utilizzo dei nuovi strumenti digitali: un medico di medicina generale su tre utilizzava almeno una soluzione di telemedicina già prima dell'emergenza epidemica, mentre il 62% di quelli che non ne facevano uso ha intenzione di farlo in futuro. Relativamente agli specialisti, tre su quattro ritengono che la telemedicina sia stata decisiva nella fase di emergenza: il 34% già ne usufruiva in passato mentre il 36% intende iniziare presto a farne uso.

Anche i cittadini reclutati nell’indagine hanno mostrato apertura e interesse per la telemedicina: uno su tre vorrebbe sperimentare una televisita con il proprio medico di famiglia e il 29% con lo specialista, mentre il 29% risulta interessato soprattutto al servizio di telemonitoraggio.

Nello scenario in rapida crescita della digital health, Sprim contribuisce alla salute dei pazienti e al progresso del settore con CONNEXT TELEMEDICINA, la prima piattaforma di telemedicina privacy first sviluppata con i medici pensata non solo come soluzione per affrontare l’attuale fase di emergenza, ma soprattutto come innovativo strumento per favorire l’evoluzione del rapporto medico-paziente.

La piattaforma si propone in primo luogo come alleato per il medico di medicina generale e dello specialista, che con CONNEXT potranno disporre di uno strumento multifunzione, mobile-friendly e dalla user experience piacevole e intuitiva per gestire le visite – a distanza o in presenza – mantenendo un contatto costante e sicuro con i pazienti, ora così come in futuro.

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Fonti:


Eccesso ponderale, scorrette abitudini alimentari e sedentarietà in età pediatrica: gli ultimi risultati di OKkio alla SALUTE

Gli ultimi dati del sistema di sorveglianza nazionale OKkio alla SALUTE dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha fotografato lo stato ponderale e gli stili di vita dei bambini italiani nel 2019, confermano che la strada per la riduzione del sovrappeso e dell’obesità pediatrica in Italia è ancora lunga.

Sebbene ci sia stata dal 2008 al 2019 (quella del 2019 è la 6° indagine) una riduzione della prevalenza di sovrappeso e obesità in età scolare, l’Italia si conferma ancora tra i Paesi europei in cui la situazione è più grave, dopo Cipro, Grecia e Spagna. Infatti, i dati ottenuti su oltre 50 mila bambini della scuola primaria mostrano che il 20,4% è in sovrappeso e il 9,4% obeso (di questi il 2,4% è gravemente obeso). In totale significa che circa 1 bambino su 3 è in eccesso ponderale, con una maggiore prevalenza tra le regioni del Sud e tra le famiglie con condizioni socioeconomiche peggiori.

Ancora oggi circa il 44% dei bambini italiani fa una prima colazione inadeguata o non la fa proprio (il 9% circa dei bambini salta la prima colazione) e il 55% dei bambini consuma una merenda troppo abbondante a metà mattina (dato ancora negativo ma notevolmente ridotto rispetto alla prima indagine del 2008, quando questa abitudine riguardava ben l’82% dei bambini). Inoltre, secondo quanto riferito dai genitori, il 24% dei bambini in età scolare non consuma frutta e/o verdura quotidianamenteil 38,4% dei bambini assume legumi meno di una volta a settimana e il 48% e il 9% dei bambini consuma rispettivamente snack dolci e salati più di 3 giorni a settimana.

È diminuito sensibilmente nel tempo, invece, il consumo quotidiano di bevande zuccherate e/o gassate: dal 48% dei bambini nel 2010 al 36% nel 2016, fino al 25% secondo l’ultima indagine.

Anche l’attività fisica e la sedentarietà dei bambini italiani non sono molto migliorate: il 20,3% dei bambini non ha svolto attività fisica il giorno prima dell’indagine, il 43,5% ha ancora la TV nella propria camera, solo il 26% dei bambini va a scuola a piedi o in bicicletta e il 45% dei bambini trascorre più di 2 ore al giorno davanti a dispositivi elettronici (prevalenza peggiorata del 4% rispetto alla rilevazione del 2016).

Tra gli altri fattori di rischio correlati all’obesità desta preoccupazione anche il sonno: circa il 14% dei bambini dorme meno di 9 ore per notte, che è la quantità minima raccomandata dalle società pediatriche per l’età scolare.

Infine, anche la percezione del “fenomeno” e dello stato di salute dei figli da parte dei genitori appare ancora distorto: il 40,3% dei bambini con eccesso ponderale è percepito come sotto-normopeso dalla madre; il 59% delle madri di bambini poco attivi ritiene che l’attività fisica svolta dal figlio sia adeguata e ben il 69,9% delle madri di bambini in sovrappeso o obesi pensa che la quantità di cibo assunta dal proprio figlio non sia eccessiva.

 

Fonte: 


Insetti a tavola: via libera di EFSA e UE sulle larve di Tenebrio molitor

Aggiornamento: dopo il parere positivo di EFSA, anche la Commissione Europea in data 5 maggio ha autorizzato il consumo alimentare delle larve essiccate di Tenebrio molitor.

Le larve essiccate di Tenebrio molitor potranno essere consumate in sicurezza, intere come snack o sotto forma di “farina” all’interno di barrette, biscotti e pasta. È quanto emerge dal parere scientifico pubblicato dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) il 13 gennaio che, per la prima volta dal 2018 (anno in cui è entrato in vigore il nuovo regolamento sui novel food), ha realizzato una valutazione completa di un prodotto a base di insetti, esprimendo parere positivo sulla loro sicurezza (1) (2).

Infatti, in seguito a una richiesta pervenuta alla Commissione Europea, il panel multidisciplinare di esperti EFSA ha realizzato un’attenta analisi di tutti gli aspetti relativi alla modalità di allevamento, al processo di produzione, alla sicurezza e al profilo nutrizionale e tossicologico delle larve essiccate di Tenebrio Molitor, comunemente nota come tarma della farina (1).

Questi novel food sono perlopiù costituiti da proteine, grassi e fibre (soprattutto chitina, una fibra insolubile che è il principale componente dell’esoscheletro degli insetti) e il loro consumo non è risultato critico dal punto di vista nutrizionale.

Relativamente alla sicurezza, i livelli di contaminanti dipendono dai livelli presenti nel mangime utilizzato in fase di allevamento e sono quindi controllabili seguendo la legislazione europea sui mangimi, mentre non sono state rilevate criticità sulla stabilità del prodotto in fase di conservazione, a patto di rispettare i limiti delle specifiche proposte durante l’intero periodo.

Inoltre, dagli studi tossicologici disponibili in letteratura non è emerso alcun effetto avverso. Non è possibile escludere invece la comparsa di reazioni allergiche che possono essere provocate da una sensibilità individuale alle proteine delle larve, da una reattività crociata con altri allergeni (in soggetti allergici ai crostacei e agli acari della polvere, ad esempio) o da allergeni residuati da mangimi per insetti.

Secondo il professor Mario Mazzocchi dell’Università di Bologna “Ci sono chiari vantaggi ambientali ed economici nel sostituire le fonti tradizionali di proteine animali con quelle che richiedono meno mangime, producono meno rifiuti e provocano meno emissioni di gas serra. L’abbassamento di costi e prezzi potrebbe migliorare la disponibilità di alimenti, mentre la nuova domanda creerà nuove opportunità economiche, che potrebbero però interferire con i settori esistenti” (2).

Già nel 2018, 4 italiani su 10 si sono dichiarati pronti ad assaggiare insetti (3), ma se fate parte del gruppo degli scettici non temete: c’è ancora un po’ di tempo per abituarsi a questa possibilità. Infatti, nonostante il parere positivo di EFSA, per la commercializzazione serve anche l’autorizzazione da parte della Commissione Europea, alla quale seguiranno i voti dei singoli Paesi membri per l’immissione sul mercato.

 

Fonti: 

  1. European Food Safety Authority (EFSA). EFSA Panel on Nutrition, Novel Foods and Food Allergens (2021). Safety of dried yellow mealworm (Tenebrio molitor larva) as a novel food pursuant to Regulation (EU) 2015/2283. EFSA Journal,19(1):6343.
  2. European Food Safety Authority (EFSA). Edible insects: the science of novel food evaluations.
  3. DOXA (2018). Insetti, 4 italiani su 10 sono pronti a mangiarli.